SAN GIOVANNI BATTISTA
Prefazione del Municipio
Non è che con questa pubblicazione il Municipio di Gnosca voglia dar scarico all’ opera di ristrutturazione/ consolidamento del monumento storico di San Giovanni Battista in Gnosca, ma seppur modesta, la stessa ha lo scopo di aprire al pubblico un discorso sulla natura del Monumento e stimolare un futuro sfruttamento del medesimo, ai fini di uno sviluppo culturale.
Il Cantone Ticino ha ereditato numerosi gioielli di questa natura, talvolta lontani dai centri, che evocano periodi passati in cui bisognava sopravvivere, cercando nel territorio ogni minima risorsa da sfruttare.
Queste testimonianze resistono da secoli, attualmente però finiscono col rimanere nascoste e discoste dalle nuove vie di comunicazione. In certi casi, almeno nel nostro di sicuro, l’incuria e l’abbandono hanno ridotto assai male il frutto delle fatiche dei nostri antenati.
Sovente non ci si cura, o lo si fa solo marginalmente, di queste testimonianze, tutto si limita ad uno sguardo veloce o ad un pensiero superficiale.
Con questa pubblicazione, che non vuole pretendere di essere esaustiva, ma comunque alla portata di tutti, vorremmo dare la possibilità di conoscere le vicissitudini della ex Chiesa di San Giovanni Battista, monumento storico riconosciuto dal 1955 su proposizione del Prof. Virgilio Gilardoni.
Poche spiegazioni per capire l’essenziale; un momento per leggere l’ingegnosità e la raffinatezza dell’uomo di ieri confrontato con la realtà contemporanea. Una piccola guida per insegnare a questa generazione di frettolosi, ad osservare e meditare quanto di più tangibile possiamo lasciare alle spalle.
Il Municipio si complimenta con:
- il Legislativo comunale per la fiducia accordata;
- il personale dell’Ufficio cantonale dei monumenti storici, in modo particolare il defunto Prof. Pierangelo Donati, per il coordinamento del progetto;
- l’Architetto Tito Corion i, progettista. Si ringraziano:
- la Banca dello Stato del Cantone Ticino;
- l’Azienda Elettrica Ticinese;
- l’Azienda elettrica comunale di Bellin- zona, per il loro sostegno.
ll Municipio
La ricerca archeologica
I pavimenti realizzati con mattonelle in ricordo delle antiche strutture
La ricerca archeologica promossa nel mese di settembre del 1991 ha permesso di distinguere con precisione le fasi costruttive di questo edificio e di documentare quanto celato dai pavimenti, anche se buona parte delle informazioni erano già chiaramente individuabili in superficie e nelle strutture murarie.
Il restauro
“II restauro delle rovine della chiesa di San Giovanni Battista di Gnosca”
Il restauro delle rovine di Gnosca aveva tre scopi: consolidare i resti murari per impedire un ulteriore decadimento, ridare una forma leggibile al vecchio cumulo di sassi, rendere accessibile al pubblico lo spazio della rovina ed i suoi immediati dintorni, pur senza dar loro una destinazione specifica.
La prassi generalmente adottata in Svizzera per casi simili è quella della asportazione dei detriti e del puro e semplice consolidamento dei resti con materiali simili a quelli di cui è costituito il manufatto. Il problema della forma è quasi sempre considerato come secondario.
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Noi ci siamo invece preoccupati di ridare valore alla forma architettonica e allo spazio dell’antica chiesa, pur dando per acquisita la condizione che non sarebbe stata rimessa una copertura e non si sarebbe in nessun caso ritornati all’antica funzione. Questo dato è importante e merita un piccolo commento. Ogni opera d’arte ogni edificio in particolare, nasce, vive e muore. Ogni monumento ha una sua propria storia costituita di fasi di crescita, di ampliamenti, di modificazioni, di alternazioni, di riparazioni, di decadimento. Cambiano nel tempo le funzioni ma cambia anche la forma architettonica, cambiano le decorazioni, gli arredi. Talora scomparsi gli antichi affreschi rimangono gli intonachi. Scomparsi anche gli intonachi rimangono i nudi muri di pietra.
Ogni volta che ci si accinge ad un restauro bisogna definire con chiarezza a quale fase di vita dell’edificio ci si riferisce e tentare di ristabilire un nuovo equilibrio, di cui non si conosce, ovviamente, la nuova possibile durata.
Chi tenta la ricostruzione del cosiddetto “antico splendore” intraprende un’operazione impossibile.
Chi vuole conservare tutto, ad ogni costo e in modo acritico raggiunge spesso risultati deludenti e muti. Sono del parere che anche nei casi del restauro più conservativo si debba ogni volta progettare un nuovo stato del monumento, rendendolo capace di assumere funzioni rinnovate e di emettere nuovi messaggi formali.
Anche quando sembra che non vi sia più una nuova funzione reale, come nel caso di Gnosca, di fatto una funzione c’è sempre, fosse anche di natura puramente simbolica. A Gnosca le rovine restaurate sono ora uno spazio pubblico disponibile. Toccherà alla comunità locale, che si è già riappropriata dei suoi valori formali, inventare gli usi che riterrà più appropriati.
Ma torniamo ora agli aspetti specificamente architettonici e tecnici.
Dapprima ci fu il problema dello sgombero e della pulizia. Pensavamo di trovare tra le macerie qualche elemento di pietra lavorata proveniente dall’abside romanica o dagli spigoli della chiesa. In realtà non fu reperito nulla di interessante. Il pietrame confusamente accatastato all’interno della chiesa era pietrame corrente che ha dovuto essere allontanato senza possibilità di reimpiego. Gli sterpi e i rovi si erano radicati profondamente nelle murature e nel vecchio pavimento provocando guasti di un certo rilievo. La loro eliminazione ha costituito uno dei lavori più impegnativi perchè si è dovuto penetrare in profondità nelle murature, levando tutto quanto era contenuto nei giunti, vecchie malte, terriccio, radici.
Si è ritenuto di procedere alle integrazioni e alle coperture dei muri con materiale contemporaneo, senza imitare le murature antiche di pietra. E’oggi impensabile ricostruire correttamente un muro di pietra del XVII secolo, meno ancora uno del Xll secolo. Si è dunque deciso di ricorrere ai blocchetti di cemento oggi di uso corrente.
Dopo l’esecuzione di vari campioni ed il loro esame sul posto in collaborazione con l’Ufficio cantonale dei monumenti storici si è deciso di impiegare elementi diversi per situazioni diverse: mattonelle di piccolo spessore (4 cm) per le integrazioni della muratura romanica, blocchetti di spessore corrente (6 cm) per le integrazioni della muratura barocca, lastre di cemento di 4 cm per la copertura dei muri.
Si è fatto ricorso a quanto offre oggi il mercato utilizzando anche gli elementi sagomati usati normalmente per la pavimentazione. Vantaggi degli elementi di cemento sono il colore grigio e la rugosità della superficie che stabiliscono un buon rapporto con la pietra.
Uno degli scopi che si volevano raggiungere era anche la leggibilità dell’intervento e la sua reversibilità. Chiunque può oggi vedere a Gnosca quali sono le integrazioni introdotte nel 1992 e quali sono le parti antiche. Inoltre i blocchetti di cemento potrebbero anche essere asportati ritornando alla situazione di rovina.
Un discorso a parte merita l’abside romanica.
Come s’è già detto altrove il rivestimento di conci lavorati era stato completamente asportato negli anni ’30. Erano rimaste solo poche pietre sul lato sud e un paio di archetti guasti sul lato nord. Per il resto appariva la muratura rozza corrispondente all’antica anima del muro, quasi un conglomerato di pietrame e di malta. Un rivestimento protettivo era dunque indispensabile.
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Ci siamo ispirati alle facciate non finite che si vedono in Toscana in attesa del rivestimento marmoreo mai realizzato.
Abbiamo dunque applicato un rivestimento dentato con piccoli elementi sagomati da pavimentazione, dello spessore di 4 cm, che ha finito per assumere anche un suo particolare valore decorativo.
Un altro problema particolare era quello del pavimento. L’antico rivestimento era molto povero. Si trattava del solito strato di malta (sabbia e calce) spianato con la cazzuola su un sottofondo terroso. Questo pavimento chiamato anticamente “lastrich” era molto rovinato anche a causa delle radici dei rovi che l’avevano sgretolato. Si è dovuto dunque sostituirlo. Per ottenere un pavimento robusto sia dal profilo costruttivo che da quello formale abbiamo impiegato dei blocchetti BKS 25x12x6 posati a coltello.
Dato che non c’è più il tetto bisognava provvedere ad un corrente scarico delle acque. Non si volevano però creare delle pendenze e delle cunette, per richiamare che un tempo si trattava di uno spazio interno, con un pavimento piano. Abbiamo dunque creato una “rete” relativamente fitta di bocchette di scarico, distribuite ogni 2 metri sulla base di un modulo quadrato.
L’acqua scarica bene malgrado l’assoluta orizzontalità del pavimento.
I mattoni a coltello hanno permesso di segnare nel pavimento le tracce di alcuni elementi scomparsi dell’antica chiesa: le transenne davanti all’abside romanica, i due altari succedutisi nel presbiterio barocco, l’apertura per accedere all’ossario.
Le poche tracce d’intonaco superstiti sono state conservate.
Nell’abside romanica si percepiscono appena le pallide tracce di quella che doveva essere una decorazione pittorica completa. La rimessa in valore delle rovine esigeva anche un riordino degli spazi esterni per ragioni di uso e per ragioni di forma.
Abbiamo voluto creare un “piano di appoggio” perfettamente orizzontale che desse maggiore risalto al profilo irregolare delle rovine e che migliorasse la possibilità di accesso e di circolazione attorno al monumento. Il muro di confine verso la vecchia strada cantonale è stato dunque raddrizzato e regolarizzato nella sua altezza, prendendo come punto di partenza il livello del piazzaletto di posteggio a nord della chiesa. Verso monte le rovine erano coperte di terra per un’altezza di circa 1 metro. Per liberare il monumento da questo materiale è stato costruito un muro di sostegno in cemento armato casserato con tavole nuove non piallate. Nell’angolo sud-est esistevano i resti di un antico ossario sovrastato probabilmente da una cappelletta. Il piccolo ossario era stato fortemente rovinato al momento della costruzione della stradina di accesso ai rustici che si trovano a monte della chiesa.
Dopo un accurato esame da parte dell’Ufficio dei monumenti si è deciso di sotterrare quel poco che rimaneva del vecchio manufatto visto lo scarsissimo interesse che presentava sia dal profilo storico che dal profilo materiale.
Una breve nota sulla bandierina del campanile: nel corso del tempo era scomparsa e l’abbiamo quindi rifatta con un disegno nuovo, dopo aver constatato che la conformazione dell’asta indicava inequivocabilmente la precedente presenza di una banderuola girevole. Nessun impianto particolare è stato introdotto nel monumento, salvo un quadro elettrico situato nel campanile che permetterà di allacciare cavi volanti per illuminazioni provvisorie, apparecchi per concerti, amplificatori.
Tito Carloni e Angelo Martella.
Il pavimento esistente al momento dello scavo è stato rimosso fornendo le seguenti informazioni: su di uno strato di terra posato a livellamento della superficie (il piano originale in terra battuta) venne eseguita una massicciata ricoperta da due strati di malta in forma di coccio pesto grigiastro che sostituiva un piano di camminamento precedente.
Sulla sua superficie non erano visibili tracce di gradini o separazioni tra il coro semicircolare e la navata: si è invece ritrovata la traccia in negativo di una separazione tra l’area presbiterale e quella dei fedeli: questa separazione era costituita da quattro pali lignei infissi verticalmente nel terreno che probabilmente sostenevano delle assi o dei travetti (cancelli lignei).
Come indicano le tracce esistenti nella muratura, questa struttura venne modificata ed arretrata nella posizione corrispondente all’arco trionfale dell’abside. Altra indicazione importante è che non si è constatata la presenza di una eventuale chiesa più antica a quella visibile in alzato, come pure di tracce del o degli altari più antichi.
Per contro nell’area della chiesa romanica sono state rinvenute sei sepolture, tutte distribuite nella navata: il modello utilizzato è quello che le delimita con piode a coltello. Almeno quattro sepolture sono riferibili a neonati o bambini in tenera età.
Nella tomba (1) si è inoltre constatato un largo reimpiego (6-7 individui di età collocabile tra il bimbo e l’adolescente); questa sepoltura era localizzata nell’angolo nord – ovest, mentre le sepolture dei piccoli sono localizzate, per la maggior parte, lungo il muro nord.
Di particolare interesse per la conoscenza delle architetture funerarie è la tomba (2), rinvenuta quasi nell’asse della navata della chiesa romanica. Le sue caratteristiche possono essere così riassunte: fossa in terra tra grossi sassi appartenenti al terreno naturale parzialmente rivestito da muretto a servo nel quale era un appoggio a sedile per il defunto; le gambe del morto erano ricoperte da lastre in sasso sostenute dalle pareti laterali; a copertura del defunto seduto erano posate delle lastre in sasso che si sono leggermente sprofondate. All’interno della tomba che ricopriva per 10 cm i resti ossei si è rinvenuta una moneta di Milano coniata tra il 1412 ed il 1417; accompagnavano i pochi resti ossei del defunto due fibbie di cintura, una in ferro e l’altra in bronzo. Evidentemente la presenza della moneta fornisce una data post quem che consente di collocare questo modello particolare di sepoltura verso la metà del XV secolo.
Sempre entro i limiti della navata romanica, sotto il pavimento rimosso, sono state rinvenute altre 19 monete prodotte dalle zecche di Milano ( 15), Pavia ( l), Venezia ( l ), Asti ( l), Ivrea ( 1 ) ; la loro determinazione ha permesso di attribuirle al periodo che corre tra l’inizio del XIV secolo (moneta comunale per Federico I) ed il 1476. Di conseguenza la costruzione della massicciata e la posa del pavimento in malta cementizia a doppio strato devono essere attribuite agli ultimi decenni del XV secolo; si può dunque concludere che il pavimento cementizio non appartiene alla struttura originaria dell’edificio di culto. La posa di questo pavimento tardivo ha quindi comportato, con certezza, la rimozione della transenna lignea e con buona probabilità anche quella dell’altare primitivo. Infine non si può escludere che gli ultimi momenti storici (costruzione del nuovo pavimento) in quest’area siano già da riferire alla fase costruttiva seguente.
Si tratta dell’ingrandimento della chiesa con un cambiamento di orientazione: l’edificio è ampliato, abbattendo la parete nord della chiesa romanica e costruendo una nuova navata e una nuova abside semicircolare trasferita verso settentrione. La differenza di quota esistente tra la nuova navata e il nuovo coro viene assorbita da un gradino. Dell’altare costruito in quest’epoca sono stati documentati solamente i negativi del basamento.
In questa nuova fase costruttiva si distinguono due momenti: il primo relativo alla trasformazione del coro semicircolare in coro quadrangolare coperto con una volta a crociera; nel secondo è costruito il campanile sul quale è incisa la data 1627 che conferma pienamente l’analisi dendrocronologica dei legnami datati al 1625.
Non è possibile, in assenza di prove documentarie, determinare con precisione se venne per primo eretto il nuovo coro oppure il campanile.
Infine in un momento successivo al 1627 venne edificata nell’angolo nord-ovest, esternamente al nuovo coro ed al campanile, una sacrestia che rimarrà tale fino al momento della sconsacrazione della chiesa.
Proposte di datazione
L’insieme dei materiali disponibili, la struttura arcaica delle archeggiature ancora visibili nei muri ancora conservati, il confronto con altri impianti analoghi, le testimonianze scritte (la prima citazione è del 1202) permettono di collocare l’erezione della chiesa romanica (fase 1) tra l’inizio e la metà del Xll secolo.
Non è però possibile proporre date certe per le separazioni rilevate tra il presbiterio e la navata romanica; sono però certamente precedenti la posa del pavimento in malta cementizia che assegnamo alla fine del XV secolo o agli inizi del Cinquecento sulla base dei reparti monumentali.
La trasformazione successiva comprendente la costruzione di una nuova abside semicircolare e di una nuova navata ottenuta con l’abbattimento del muro nord della chiesa primitiva (fase 2)può essere situata tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI secolo. Pure valida l’ipotesi che il pavimento cementizio rimosso entro il perimetro della chiesa romanica (posato sicuramente dopo il 1476) possa datare anche questa fase.
Ben chiare e già indicate la datazione dei momenti successivi, ovvero la costruzione del campanile probabilmente posteriore di pochi anni all’erezione del coro quadrato esistente (fase 3) e della sacrestia (fase 4).
Sedime esterno alla chiesa
Per motivi economici si è rinunciato ad una completa ed esauriente ricerca nell’area esterna alla chiesa, già largamente manomessa da interventi precedenti specie in relazione alle sistemazioni stradali; le constatazioni sono dunque limitate ai settori dove, per motivi di livellamento, si è dovuto procedere a movimenti di terra.
La presenza di quattro sepolture di adulti, due in cassa lignea e due in una struttura a lastroni, confermano l’esistenza di un piccolo cimitero di cui è dimostrabile l’uso continuato almeno fino alla sconsacrazione della chiesa.
La conferma di questa interpretazione viene anche dal ritrovamento dei resti di una cappella ossario, lungo il perimetro esterno a sud, demolita in epoca imprecisabile e ancora manomessa dall’allargamento stradale degli anni Sessanta.
Dalla relazione inedita del prof. Pier Angelo Donati
La chiesa di San Giovanni Battista
Rigore e storia nelle architetture
“Il monumento romanico archeologicamente più interessante sopravvissuto nelle immediate vicinanze di Bellinzona.”
L’abitato preistorico di Gnosca, segnalato da ritrovamenti occasionali di tombe non fu mai esplorato razionalmente anche se si suppone che possa nascondere materiali archeologici, come quelli delle necropoli dell’altra sponda del fiume, nella regione di Arbedo. Nell’alto Medioevo a Gnosca e a Gorduno dovevano esistere fortificazioni, castelli e case forti dei da Gnosca, un ramo della nobiltà arimannica che dalle rive del lago Maggiore era penetrata fino a Biasca, nel nodo delle valli alpine.
La villa di Gnosca, che appartenne alla gastaldia di Claro, fu oggetto di contese giurisdizionali tra il capitolo metropolitano milanese e il comune di Como, risolte da un arbitrato del 1O agosto 1198.
Nel 1202 la giurisdizione sulla “capella s. Johannis ( … ) in villa Niosca” fu confermata a Como, mentre quella della cappella dei ss. Carpoforo e Maurizio “intus castrum de Niosca” era riconosciuta a Milano.
Sono queste le prime attestazioni documentarie delle due chiese che si suppongono di fondazione assai antica.
Un documento del 1583 definisce la prima “membrum parochialis ecci. S. Carpofori foci Gorduni”. La sua struttura è semplicissima, come quelle delle aule prealpine e alpine, con abside preceduta da un arco presbiteriale; ma la decorazione è già ricca nei ritmi delle archeggiature cieche di sapore arcaico e nella struttura delle monofore, a feritoia stretta, arcuata.
L’aula quadrangolare, di struttura normale, lunga poco meno del doppio della larghezza (m 7,65 x m 4,50, spessore delle pareti 65 cm), si apre a oriente sull’ampio arco presbiteriale che, a sua volta, abbraccia l’abside rotonda, illuminata da due monofore.
Curiosità e architetture
L’osservatore attento troverà diverse particolarità nascoste nel restauro minuzioso e curato
La parete esterna meridionale conserva la struttura originale nonostante l’ampio rappezzo centrale, dove, quando fu ampliata la chiesa mutandone l’orientamento, era stata creata una rottura demolendo la parete settentrionale e aprendo una porta centrale nel fianco sud. Ritmata da esili lesene sorgenti dal breve zoccolo seminterrato, la parete si divide in quattro scomparti irregolari, coronati da archetti, formati da rozzi conci arrotondati e disposti attorno a lunette di granito.
Sono rimaste le due monofore, forse tarde, del secondo e del quarto specchio, fuori d’asse entrambe; una, anzi, quasi addossata alla lesena. Hanno l’archivolto intagliato in un solo concio, rudi spalle costruite con blocchi informi di granito, posti verticalmente; feritoie di sezione rettangolare formate da grossolani spezzoni anch’essi di granito, doppia strombatura, davanzale piatto. Rimangono anche le due porte dell’antica chiesa: nella sua collocazione originaria quella principale, a ovest; forse ricomposta, ma con elementi nuovi, quella ricollocata nella parete orientale all’atto dell’ampliamento.
Quella occidentale, lunettata, dentro e fuori, ha le spalle diritte con risega interna, lungo architrave di granito e lunettone falcato.
Il paramento murario è composto di pietrame vario rozzamente spezzato. L’aspetto arcaico della parete è tuttavia attenuato dalla presenza di grosse pietre d’angolo squadrate.
Nel fianco dell’abside è scolpita a tenuissimo rilievo una croce di una foggia intermedia tra la croce di Malta e quella che in araldica è detta “patente”, coronata da due C, di cui una alla rovescia, affrontate e legate.
Rimane il sospetto, non suffragato però da prove storiche, di un legame fra questa chiesa e il minuscolo priorato di ospedalieri di Cantone, ai piedi del Monte Ceneri e all’imbocco della via lacuale di Magadino. La popolazione di Gnosca e di Gorduno inviava infatti, nel 1133, offerte a S. Maria di Monte Velate.·
Riduzione e adattamento delle indagini del prof. Virgilio Gilardoni, pubblicate nel 1967.